DI FRANCESCA MONDELLI

Il secondo romanzo della trilogia Le Cronache Perdute (potete leggere la recensione del primo volume, I Draghi degli Abissi dei Nani, qui N.d.R.) ci porta lontano dai classici eroi, dando spazio anche ai nostri amati villain: Kitiara, Signora dei Draghi Azzurri, sta divenendo ogni giorno più potente e più pericolosa per la stabilità del potere dell’imperatore di Ansalon, che non accetta rivali reali o presunti, motivo per il quale decide di dividere la bellicosa avventuriera dalle sue schiere e spedirla nelle ghiacciate terre dell’Icereacht. Lì ha il compito non facile di obbligare il riottoso mago elfico Feal-Thas a cedere il suo prezioso Globo dei Draghi perché finisca nelle mani dei suoi nemici e lì porti scompiglio dato il suo potere oscuro. Contemporaneamente l’elfa Laurana e suo fratello, assieme al nano Flint, al kender Tasslehoff e al Cavaliere Sturm Brightblade si sono separati dal gruppo e son finiti per essere assoldati da un manipolo di Cavalieri di Solamnia guidati dal tormentato Sir Derek Crownguard in missione per recuperare proprio quel terribile Globo dei Draghi.

Parte così il secondo romanzo della saga de Le Cronache Perdute con la quale la coppia di autori iconica per Dragonlance, Tracy Hickman e Margaret Weis, ha deciso di riprendere in mano le fila degli avvicendamenti raccontati ne Le Cronache e, in particolare, a ridosso del romanzo I Draghi della Notte d’Inverno. L’intento non è solo spiegare gli avvicendamenti che hanno portato all’acquisizione da parte degli eroi di alcuni dei manufatti che collaboreranno alla creazione delle leggendarie Lance (in questo caso un Globo che ha il potere di controllare i draghi), ma anche, di volta in volta, focalizzarsi su alcuni personaggi per approfondirne l’evoluzione: in questo romanzo, in particolare, vediamo da vicino non solo la crescita in consapevolezza di personaggi come Laurana e Bringhtblade, ma anche la travagliata ascesa al potere di uno dei villain più amati all’interno della saga, cioè di Kitiara uth Matar.

Un antefatto grosso come una trilogia: inizio ad affanno

L’amore per le saghe letterarie è tanto più acceso, quanto più esse sono lunghe e ramificate; non di meno tenere i pezzi di tutto il materiale che un nuovo romanzo tocca può divenire complesso. Alcuni autori preferiscono soprassedere, dando per scontato che i suoi lettori siano arrivati al libro preparati, ma altri – ed è il caso di Weis e Hickman – non mancano mai di fornire un riepilogo delle coordinate di trama entro cui sta evolvendo la storia. In particolare in questo libro viene fornita una cornice – uno della branca degli studiosi degli Estetici sta raccontando alcuni eventi storici a dei giovanissimi – che, se per i lettori di vecchia data può apparire un ripasso un po’ prolisso, per i nuovi lettori deve dar un senso di sopraffazione, data l’enorme quantità di dati che gli viene chiesto di immagazzinare ex abrupto. C’è da domandarsi se non sarebbe stato meglio sfrondare la quantità di informazioni e, magari, centellinarle un po’ alla volta, dato che la storia del romanzo è valida a tal punto da poter sopravvivere anche isolata dal contesto.

Non di meno il romanzo dopo qualche pagina preparatoria finalmente entra nel vivo dell’azione e si rivela sin da subito capace di superare le aspettative; infatti, se il seppur riuscito primo romanzo I Draghi degli Abissi dei Nani aveva tratteggiato una piacevole storia, ma con poche rivelazioni, il secondo titolo della trilogia ci permette di scoprire nuovi aspetti di una vicenda che davamo già per nota, come ad esempio cosa sta accadendo tra i ‘cattivi’.

Un piacevole spaccato delle fila nemiche

Uno dei particolari che rende questo romanzo davvero piacevole sia nella costruzione della trama, sia nella descrizione dell’ambientazione, è l’enorme porzione di narrazione che ha a che fare con la fazione nemica, cioè le schiere della Regina Takhisis che nella saga Le Cronache sono sempre viste da lontano in una prospettiva totalmente oppositiva: seguendo le vicissitudini di Kitiara, invece, il lettore si immerge nella trincea avversaria, scoprendo interessanti particolari. Ovviamente quello che occupa maggior spazio nel libro sono i giochi di potere che si muovono attorno alla figura dell’Imperatore di Ansalon, un uomo che scopriamo squisitamente pratico, sia in campo militare, sia in campo politico; posto sul trono grazie al volere della dea Takhisis, ma al contempo conscio di dover mettere in campo tutta la sua abilità per rimanervi, deve ingegnarsi per circondarsi di elementi validi, senza concedere agli stessi potere bastevole a detronizzarlo: non meraviglia scoprire che il rapporto dell’Imperatore con Kitiara sia improntato proprio a questa ambivalenza come riflettono i dialoghi sempre brillanti fra i due.

Ma non bisogna rimanere nelle sale del potere per assistere a vivaci intermezzi: nelle fila dei ranghi più umili dell’esercito della Signora delle Tenebre si muovono i dragonidi, esseri votati al combattimenti, ma non ottusa carne da macello. Se il primo libro di questa nuova trilogia aveva dato voce ad alcuni suoi rappresentanti, l’incontro continuo di Kitiara con la fanteria dragonide ci rivela la spiccata intelligenza e praticità di questa razza e, conseguenzialmente, conferma il razzismo del quale essa è vittima: disprezzati da chiunque – anche dai draghi con i quali dovrebbero avere una strana parentela -, essi sono il nerbo dell’esercito, ma non ne ricoprono posizioni di rilievo. La fedeltà alla dea Takhsis dei dragonidi contribuisce a far sì che questa disparità in seno alla gerarchie dell’esercito non evolva in defezioni; non di meno è un aspetto di estrema interesse che potrebbe, un domani, essere foriero di ricchi spunti che potrebbero essere accolti dagli autori.

Apprendiamo, inoltre, qualcosa di più sulla personalità dei draghi e sul tipo di coinvolgimento che essi hanno con la guerra e con i Signori che, in teoria, li governano; ricordiamo quali esseri magnifici e letali siano i draghi e, di conseguenza, come possa apparire paradossale l’idea che degli esseri umani – razza che reputano, al pari di tutte le altre, inferiore – abbiano il comando. In realtà i draghi sono un membro potente dell’esercito, ma non direttamente controllato dalla gerarchia militare dell’Imperatore di Ansalon, bensì attraverso la mediazione della Regina Takhsis; ciò rende molto ambiguo e pericoloso l’uso che se ne fa in battaglia come nei giochi di potere.

Tutto ciò e molto altro impreziosiscono un’ambientazione che rischiava di appiattirsi sul solito conflitto fantasy; il resto lo fa un prezioso gioco di equilibrio fra i personaggi.

Personaggi giustapposti

Questo romanzo intreccia le vicende di differenti protagonisti appartenenti a fazioni opposte, presi in missioni che intrecciano necessità comuni a bisogni personali; ad arricchire il loro vissuto c’è un sapiente gioco di confronti che gli autori instaurano, a volte direttamente, a volte più sottilmente, in modo che ogni azioni portata avanti dal singolo abbia il suo simile e opposto nelle azioni di qualcun altro.

In primis abbiamo il confronto tra la spregiudicata Kitiara e la dolce Laurana, entrambe così avviluppate nell’amore per Tanis Mezzelfo da lasciare che esso influisca sulle proprie scelte, facendo sì che la cecità le conduca alla rovina (la perdita del potere per la prima, traversie difficili a sopportarsi per una viziata principessa per la seconda); pur così diverse, entrambe, però, sanno smarcarsi dalle proprie cattive decisioni, accettando una chiamata all’avventura che le eleva dal ruolo di semplici spasimanti.

Ancora un altro gioco di specchi lo offre il triangolo di personaggi uniti dalla bramosia del Globo del Drago, l’oggetto magico attorno a cui si sviluppa il grosso della trama: il cavaliere Derek, l’elfo Gilthanas e il mago Feal-Thas sono tutti ossessionati da questo potente manufatto che – leggenda narra – dovrebbe permettere al possessore di governare i draghi, ma che, dotato di coscienza propria, opera per poter governare chi lo possiede. Feal-Thas, suo originale proprietario, afferma di non essere così sciocco da usarlo, ma l’ossessione per i ladri che potrebbero sottrarglielo lo porta ad abbandonare la sua natura distaccata e glaciale e ad agire impulsivamente; Derek stesso, per quanto mosso dall’intento nobile di offrirlo come arma contro la Regina Takhisis, stravolge la sua personalità, dimenticando i suoi valori e i suoi amici; Gilthanas vede nel Globo un’arma che gli umani potrebbero rivolgere contro gli elfi e ne è parimenti ossessionato, seppur, a differenza dei primi due, goda della presenza benefica della sorella come argine alla sua mania.

Un altro raffronto rivelatorio ci è dato dal gruppo di Cavalieri di Solamnia guidato da Derek e la compagnia informale che si muove attorno a Tanis Mezzelfo: per quanto entrambi siano votati al bene comune e presi da missioni fondamentali per la salvezza di tutti, il modo di agire dei due gruppi rivela delle dinamiche relazionali del tutto opposte. Mentre il nostro gruppo di eroi dimostra legami solidi e capaci di fornire un supporto psicologico fondamentale che poi permette loro di agire in una sincronia perfetta, i cavalieri non riescono a godere di un’amicizia altrettanto saggia, malgrado siano un gruppo estremamente omogeneo; chiaramente l’intento degli autori è dimostrare come non basti essere simili per essere saldi, ma sia, bensì, necessaria una solidarietà che abbatte i muri di razza, ceto sociale e credo religioso. Purtroppo Derek, il capitano dei cavalieri, non riuscirà a venire a capo dei suoi pregiudizi e questo lo renderà ceco anche alle necessità dei suoi amici e seguaci, condannando tutti alla rovina. Queste e altri giochi di giustapposizioni rendono la trama ricca di piacevoli rimandi che la rendono unitaria, seppur dispersa in numerosi rivoli differenti.

Conclusione

Riassumendo, possiamo affermare che il secondo titolo della trilogia de Le Cronache Perdute si rivela una lettura piacevole grazie alla descrizione dell’ambientazione e l’uso sapiente dei personaggi, tanto più apprezzati dai vecchi lettori quanto più solitamente marginali all’interno della narrazione delle altre saghe. I nuovi lettori, invece, dopo la lentezza del solito ‘spiegone’ iniziale, potranno godere di dialoghi vivaci e una trama ben congeniata. Godibile anche in una lettura isolata dagli altri titoli essendo una ‘parentesi narrativa’ distaccata dal fluire delle trame principali, è un testo che può essere apprezzato anche dai non amanti di DragonLance.