Incominciamo la nostra intervista con una domanda sullo stato di salute della casa editrice: la sua ultima 

wilduscita è stata a Lucca Games 2015, fine ottobre, poi non è più uscito nulla se non in formato gratuito.

 Quale è quindi lo status delle varie collane di gioco di ruolo WB? Dungeonslayers, Hellywood, Il Mondo di Eymerich, Traveller, etc

Bé, come abbiamo detto in giro rispondendo alle domande di alcuni fan, Hellywood è “giunto a conclusione” già da parecchio tempo – avevamo pubblicato l’unica uscita francese, il manuale base, attendevamo nuove uscite nella lingua originale, ma (per vari motivi) tardavano. Date le scarse vendite, abbiamo deciso di terminare la pubblicazione una volta esaurito il magazzino.

Siamo però contenti che il gioco sia stato scelto per la localizzazione in inglese da Onyx Path. L’inglese è una lingua più conosciuta del francese, in Italia, e il supporto di Onyx Path ha già pianificato nuovi supplementi. Gli italiani che lo hanno apprezzato avranno modo di continuare a giocarlo.

Come sanno i fan, la saga di Eymerich è conclusa con il terzo volume. Stiamo aspettando l’esaurimento delle scorte per produrre un’edizione deluxe ‘finale’. Il futuro però potrebbe riservare nuovi giochi con il sistema Escamotage che è piaciuto molto.

Dungeonslayers gode di ottima salute e notevole successo tra i fan; il suo “cugino” postmoderno, Apocalypse Slayers – Quale Apocalisse Vuoi? lo segue di poche incollature.

Gli altri titoli, compreso Traveller, sono in standby per vari motivi, soprattutto burocratici.

Abbiamo notato che recentemente Wild Boar ha assunto un profilo più… british e che non solo WB ha pubblicato un primo titolo in lingua inglese ma ha partecipato all’UK Game Expo. Vuoi parlarci di questa evoluzione?

Penso che, dopo undici anni di presenza sul mercato italiano, sia un’evoluzione inevitabile. Avevamo già mosso alcuni timidi passi alcuni anni fa, con una partnership che purtroppo non si è rivelata all’altezza; questa volta abbiamo deciso di fare da soli.

Come è stata questa prima esperienza di partecipazione all’UK Games Expo e quali differenze hai riscontrato rispetto a Lucca Games e a Play?

L’esperienza è stata fantastica. Per una coincidenza quasi stellare, era il decimo anniversario della Game Expo, coincidente con l’undicesimo di Wild Boar. I giocatori e i colleghi inglesi sono simpatici, disponibili e pieni di consigli. L’atmosfera, in generale, da entrambe le parti del banco,  molto ‘sana’: si ha una grande sensazione di collaborazione, di amichevolezza che stride un po’ con il concetto usuale dell’inglese chiuso e musone. Allo stesso tempo, forse proprio per questa atmosfera di comunità, non c’è spazio per meschinità o piccolezze. Chi adotta comportamenti di questo tipo viene ‘sbattuto fuori’; allo stesso tempo, chi sbaglia in buona fede viene incoraggiato e aiutato in ogni modo possibile.

Le differenze con le manifestazioni italiane sono molte. A parte la dolente nota dei costi (che, ci tengo a dirlo, non imputo alle manifestazioni stesse: sono proprio i costi burocratici ad essere differenti…), le manifestazioni inglesi sono molto più improntate sul concetto di portare il gioco ai giocatori. Gli spazi di gioco sono molti e ben più organizzati, anche rispetto a Play; per tutta la durata della manifestazione, che attira gente da tutta l’isola, agli alberghi viene distribuita una piccola ludoteca di giochi da tavolo; è molto più facile fare una veloce pausa pranzo perché – su un’area grossomodo equivalente a quella Games lucchese – ci sono molti punti ristoro, ben distribuiti; gli orari permettono una ‘sopravvivenza’ migliore; e, dopo la chiusura degli stand, ci sono aree separate nelle quali il gioco continua fino a tarda notte.

Non è tutto rose e fiori, intendiamoci: gli stand sono un po’ meno attrezzati, almeno come delimitazione fisica (niente pareti), ma questo non è necessariamente un male. Grazie a questo, ho potuto fare quattro chiacchiere con Andy Chambers che non vedevo da diversi anni, posto nello stand immediatamente dietro al mio, e dare delle belle occhiate panoramiche all’intera Expo.

Dal tuo punto di vista qual’è lo stato di salute del mercato del gioco di ruolo in Italia?

Credo che – dopo diversi anni di stasi – si stia finalmente muovendo qualcosa, da un annetto o due a questa parte. Dal mio punto di vista (ma, ci tengo a dirlo, è un’opinione puramente personale…) è merito soprattutto dei ‘piccoli’ – degli autoproduttori, dei ‘giovani’, usando questo termine in modo non puramente anagrafico. Come ho spesso affermato, l’Italia ha un problema: gli editori di giochi devono competere con quelli che in teoria dovrebbero essere i loro principali clienti e promotori, i distributori, operatori – quasi invariabilmente – editori a loro volta. Mi sembra, potrei sbagliarmi, che le nuove leve stiano imparando a muoversi in maniera autonoma, senza dover dipendere da una distribuzione sopraffacente, con metodi e idee nuove. Speriamo che questo rivitalizzi un mercato che tutto sommato c’è, ma spesso subissato da prodotti che hanno una maggiore vendibilità immediata. Obiettivamente, rispetto ai giochi di carte e da tavolo, il gioco di ruolo è un articolo più difficile da vendere, più ‘lento’; ma allo stesso tempo più fidelizzante. In generale, chi gioca di ruolo raramente gioca solo di ruolo, quindi è un cliente potenzialmente più vario (intervista di Ciro Alessandro Sacco).